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Il signor Proust

Testo raccolto da Georges Belmont, [Monsieur Proust], traduzione e note di Augusto Donaudy


Milano, Rizzoli, 1974
cm 21.8x14, pp. 389-(3), illustrazioni in b|n fuori testo, brossura illustrata
Prima edizione italiana. Perfetto esemplare

€ 26
A ottantadue anni, dopo mezzo secolo, una donna ha infranto la consegna che s'era imposta - il silenzio - per darci, finalmente, un Proust vivo, intimo, umano e letterariamente disadorno. Questa donna è Céleste Albaret, che per nove anni, gli ultimi della vita dello scrittore, quelli in cui egli compì la maggior parte della Recherche, gli visse accanto non solo come governante fedele ma anche e soprattutto come collaboratrice preziosa, lei che di letteratura non sapeva nulla, è inconsapevolmente eroica: reclusa volontaria nella stessa prigione che Proust, malato cronico e incalzato dal tempo, s'era fabbricato per portare a termine la sua opera. Ma non è tutto: in questo libro, frugando proustianamente nella propria memoria, ripercorrendo a ritroso ciò che ella chiama «tutt'una vita», Céleste Albaret racconta un racconto, ripete cioè Marcel Proust che racconta di sé, della propria infanzia, della propria giovinezza, del proprio mondo e di quella società che ha rappresentato nella Recherche osservandone il declino e presagendone la fine. Céleste Albaret è insomma, in quegli anni, l'interlocutrice, l'unica interlocutrice di Proust. Ciò che egli dice, ciò che egli fa si fissa per sempre nella memoria di lei, che finisce pertanto col vivere, nel profondo del suo io, quella vita che egli le dispiega dinanzi come una rappresentazione e che a lei, ingenua ragazza di campagna, appare come una fantasmagoria. Ma perché dunque un così lungo silenzio? Modestia, umiltà e, anche, come un senso di gelosia: un voler rivivere solo dentro di sé il «suo» Proust. Poi, a poco a poco, le false interpretazioni, i pettegolezzi ad arte e, peggio, le menzogne la inducono - la costringono, si potrebbe dire - a parlare. E «parla»: non scrive. In settanta ore di conversazioni con Georges Belmont, Céleste Albaret ci da questo libro «parlato», e da Belmont fedelmente trascritto, in termini di sconcertante semplicità e disinvoltura, senza mai contraddirsi, senza mai esitare, senza ripensamenti o pentimenti: franca, libera, spiccia, com'è nella sua natura e come Proust aveva, fin dai primi tempi, compreso. Il che sottintende - ed è un pregio d'eccezione - l'assoluta mancanza di propositi agiografici o, comunque, di prese di posizione a tutto vantaggio del personaggio Proust.

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